Quando il sintomo è un dono
"Il sintomo è un amico che sta parlando per il paziente... forse sta urlando troppo, è vero... ma è importante quello che dice!" (G. Cavanna)
Scoppi di rabbia improvvisi e inaspettati, fastidiosissimi bruciori allo stomaco, crisi di pianto irrefrenabile, attacchi di panico, insormontabile difficoltà a separarsi, tentativi di diete ripetutamente falliti, una quantità di gelosia che rischia di distruggere una relazione.
E ancora: mal di testa, fobie, ossessioni. Mal di pancia. Ansia.
I cosidetti "sintomi".
Li malediciamo, cerchiamo in tutti i modi possibili di eliminarli, proviamo con tutta la nostra determinazione. Rimedi fatti in casa, medicine, indifferenza...
Facciamo di tutto per farli uscire dalla porta, spesso senza chiederci da dove sono entrati.
E se invece provassimo ad ascoltarli? E se cominciassimo a considerare che quel tanto odiato sintomo frequentemente è la maniera che ha trovato la parte più sana di noi (o dei nostri bambini) per dirci: "ehi, fermati, stop, qui c'è qualcosa che non va"?
Il sintomo talvolta è un regalo, è un invito a farsi delle domande, una spia arancione lampeggiante nel cruscotto.
Il sintomo di un bambino è una richiesta d'aiuto, è una grande risorsa che quel bambino ha per avvisare che si stanno correndo dei rischi, che qualcosa non gli sta tornando, anche quando nemmeno lui è consapevole di cosa.
Teniamolo in considerazione. Perché talvolta quel sintomo è la punta di un iceberg e ignorarlo significa trascurare una parte importante di noi, o di nostro figlio. E nella frettolosa routine quotidiana rischiamo di perdere qualche pezzetto.
Di fronte a un sintomo, così come di fronte a un'emozione, mettiamoci in ascolto.
Domandiamo.
Incuriosiamoci.
Scartiamolo come un regalo, anche se sembra una scocciatura, perché potrebbe essere quel piccolo e banale sintomo ad aprirci una strada preziosa, la strada del cambiamento.