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Adattarsi e poi arrabbiarsi

Dire sempre di sì, stare sempre a disposizione, mettere le necessità degli altri davanti alle proprie. Compiacere, assecondare, fare buon viso a cattivo gioco.

Si tratta di quello che in Analisi Transazionale viene definito "Bambino Adattato", ovvero quella parte di noi, che non risponde tanto ai propri bisogni e desideri, quanto alle richieste e aspettative altrui.

A chiunque può capitare, qualche volta, di farlo. Ma quando l'adattamento è una costante nella nostra vita, poi che cosa può succedere?

Può succedere che ci si senta sfruttati, incompresi, insoddisfatti, non visti. E che dentro si accumuli rabbia.

E questa rabbia, anche quando non ci permettiamo di esprimerla, rimane, e si fa spazio, sempre più spazio. E in qualche maniera ha bisogno di uscire.

Eccoli lì, i comportamenti passivo-aggressivi. Si tratta di modi "mascherati" di esprimere sentimenti di rabbia nascosti.

Accettare di andare in un posto ma continuare a procrastinare, assumersi un impegno lavorativo e poi svolgerlo male, dimenticare una scadenza, dire che va tutto bene ma tenere "il broncio", usare il sarcasmo e poi dire "ma io scherzavo"...

Questi possono essere modalità indirette di esprimere rabbia.

E possono innescare dinamiche molto fastidiose, ad esempio attivando nell'altro una rabbia più diretta: "mi vuoi dire che cos'hai? Non si può andare avanti così!!", che può sfociare in aggressività.

Come evitarlo?

Quando il problema è l'iper-adattamento alle richieste altrui, è partendo da lì che si possono cambiare le cose. Ad esempio, domandandosi il perché si senta la necessità di dire sempre sì, anche quando si vorrebbe dire no.

In secondo luogo, sarebbe certamente utile favorire un dialogo più aperto e chiaro, sia in ambito lavorativo che familiare. Tante volte una discussione, anche animata ma rispettosa, può essere molto più funzionale di un'apparente neutralità carica di tensione e malcontento.

Che ne pensate? Vi capitano mai situazioni di questo genere?

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